E’ noto ormai da anni come le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (abbreviate MICI, o IBD dall’acronimo inglese Inflammatory Bowel Diseases), siano associate ad un aumentato rischio di incidenza di tumore del colon rispetto alla popolazione generale.
Questo rischio, risulta significativamente aumentato soprattutto per la Rettocolite Ulcerosa (RCU) o Colite Ulcerosa (CU), mentre minori sono le evidenze in merito a questo rischio nella Malattia di Crohn.
Per la prevenzione dei tumori, alla luce di queste evidenze, le linee guida internazionali raccomandano l’aderenza a protocolli di screening e sorveglianza, per individuare precocemente il cancro del colon e le lesioni che lo precedono.
Il tumore del colon infatti non si manifesta con sintomi evidenti, soprattutto nelle fasi precoci; i sintomi tipici del tumore al colon (cancro) inoltre possono essere spesso confusi con quelli relativi alla malattia infiammatoria intestinale: sanguinamenti, anemia, calo di peso, astenia.
Per questo motivo, chi è affetto da una MICI da lunga data (almeno 8 anni), deve sottoporsi a regolari indagini endoscopiche, con cadenza variabile in base al rischio individuale.
Numerosi sforzi sono stati intrapresi nell’affinare le metodiche di endoscopia, al fine di migliorarne la resa e rendere sempre più efficace la prevenzione del cancro del colon, in particolare le tecniche di cromoendoscopia e l’uso dell’alta definizione stanno cambiando notevolmente l’approccio in questo campo.
Queste nuove tecniche endoscopiche nella prevenzione dei tumori del colon nelle IBD permettono di diagnosticare infatti in maniera sempre più accurata le alterazioni precoci che portano allo sviluppo del cancro del colon (la displasia).
La diagnosi del tumore del colon, il ruolo dell’endoscopia e delle nuove tecniche
La prognosi e la sopravvivenza del tumore del colon è strettamente correlata alla precocità della diagnosi, tanto prima il tumore viene individuato e trattato, tanto maggiore sarà la probabilità di essere curativi e radicali nel trattamento, migliorando drasticamente la prognosi.
Ad oggi non esistono strumenti non invasivi come esami del sangue o sulle feci, tecniche di imaging radiologico … affidabili per la diagnosi del cancro del colon, soprattutto in ambito delle MICI.
Per tale ragione, l’endoscopia risulta fondamentale, anche grazie alla possibilità di effettuare piccoli prelievi della mucosa del colon (biopsie) e di asportare polipi e altre lesioni.
I tumori del colon infatti richiedono un lasso di tempo quantificabile in diversi anni per svilupparsi, e il punto di partenza per la trasformazione “maligna” è la displasia, ovvero la prima alterazione cellulare, evidenziabile al microscopio, che porta alla neoplasia “il cancro”.
Ma quali sono le indagini endoscopiche possibili?
Secondo le linee guida europee, la sorveglianza ovvero il controllo a intervalli regolari per individuare precocemente le lesioni maligne o potenzialmente tali (displasia) nelle IBD, dovrebbe essere eseguita con l’endoscopia con cromoendoscopia.
Questa metodica consiste nell’impiego di alcuni coloranti instillati nel colon durante l’esame, in grado di mettere in risalto anche minime alterazioni della mucosa.
In alternativa è contemplata l’endoscopia tradizionale a luce bianca “white light endoscopy”, certamente più diffusa e più accessibile, ma che prevende un’estesa mappatura bioptica del colon, ovvero sono raccomandate in questo caso biopsie “random” ogni 10 cm lungo tutto il colon e su tutte le lesioni sospette.
A ulteriore potenziamento dell’endoscopia “tradizionale”, è sempre più diffusa quella ad alta risoluzione, che grazie alla maggiore qualità dell’immagine può facilitare l’individuazione di aree sospette per displasia o neoplasia.
Inoltre, seppur non ancora incluse nelle linee guida internazionali, sempre più studi stanno dimostrando l’alta resa diagnostica delle tecniche di cromoendoscopia ottica e/o digitale, che a differenza della cromoendoscopia “standard”, non richiedono l’uso di coloranti durante la colonscopia, rendendo più agevole e veloce la valutazione della mucosa nel dettaglio.
Endoscopia intestinale, la durata dell’esame
Ma quanto dura un’endoscopia di sorveglianza?
Naturalmente, il tempo necessario al completamento dell’esame è variabile, ed è influenzata da diversi fattori, come la conformazione anatomica del colon, il grado di pulizia intestinale e la quantità di lesioni riscontrate.
Mentre una colonscopia standard può durare attorno ai 20-30 minuti, nel caso di un’endoscopia di sorveglianza per la prevenzione dei tumori intestinali (efficace solo nel tratto raggiunto) , l’esame può necessitare di un tempo significativamente maggiore.
Una cromoendoscopia con coloranti necessiterà di più tempo, perché tutto il colon deve essere via via “verniciato” con i coloranti e valutato attentamente; d’altro canto, la colonscopia “standard” richiede un numero molto elevato di biopsie, che si traduce senza dubbio in un maggior impiego di tempo.
Si tenga conto però che numerosissimi studi hanno dimostrato come a una maggior durata dell’esame “e conseguentemente maggior attenzione nella valutazione della mucosa” corrisponda un maggiore accuratezza nel rilevare eventuali lesioni coliche.
La dieta come preparazione dell’intestino prima dell’endoscopia
Come in tutti i casi di endoscopia del colon, anche nei pazienti affetti da MICI nei giorni precedenti all’esame è consigliabile seguire una dieta a basso contenuto di scorie, evitando frutta e verdura, specialmente quelli con semi e bucce, con abbondanti assunzioni di liquidi.
Non è invece consigliabile il digiuno assoluto, se non la sera prima o la mattina dell’esame.
L’endoscopia nella prevenzione dei tumori nei bambini
Gli esami endoscopici nella popolazione pediatrica generalmente non sono eseguiti di frequente.
Inoltre, data la bassa incidenza di tumori “in particolar modo quelli del tratto gastrointestinale” nei bambini, le colonscopie mirate alla diagnosi di cancro sono una rarità.
Le principali eccezioni sono costituite da rare sindromi genetiche ereditarie.
Endoscopia e tumori del colon: l’impatto psicologico
Purtroppo, per i pazienti affetti da MICI, gli esami endoscopici (colonscopia, ileocolonscopia, rettosigmoidoscopia) sono un’eventualità frequente nel corso della vita.
L’endoscopia di per sé rappresenta per molti pazienti motivo d’ansia e di stress, sia per la preparazione all’esame, che per il disconfort “disagio e fastidio” dato dalla procedura stessa.
Comprensibilmente, quando poi si parla di tumore, nell’ambito della sorveglianza endoscopica di routine, i motivi di preoccupazione possono aumentare.
Per tale ragione è importante il colloquio con lo specialista di riferimento, che potrà tranquillizzare riguardo alla bassissima incidenza assoluta di cancro (seppur aumentata rispetto alla popolazione generale), sia riguardo alla miglior gestione di un eventuale problema oncologico se individuato in fase precoce.
Tecniche endoscopiche sperimentali nelle IBD, cosa ci riserva il futuro
Le tecniche fino ad ora citate fanno ormai parte della normale pratica clinica, pur con le dovute differenze tra un Centro e l’altro.
Esistono invece alcune tecniche, appannaggio solo di pochi Centri di altissimo livello, in grado di aprire nuove interessanti prospettive nell’ambito della diagnosi e tipizzazione delle neoplasie nelle IBD.
In particolare, l’endomicroscopia con focale laser e l’endocitoscopia sono delle tecniche di cosiddetta “endopatologia”, ovvero in grado di riprodurre, in tempo reale ed “in vivo” quello che può essere un esame istologico microscopico.
L’endomicroscopia confocale laser permette ad esempio una magnificazione di circa 1000x, tale da consentire una vera e propria diagnosi istologica tramite l’identificazione di strutture cellulari e intra-cellulari.
Queste tecniche endoscopiche si rivelano particolarmente utili soprattutto per la caratterizzazione delle lesioni, mentre per la loro individuazione le altre metodiche più “tradizionali”, come la cromoendoscopia o l’endoscopia con alta definizione, sono più accurate.
Per quanto riguarda invece gli approcci meno invasivi, l’endoscopia con videocapsula (VCE) offre il vantaggio di evitare i “fastidi” della colonscopia, garantendo una buona visualizzazione della mucosa intestinale.
Tuttavia il limite maggiore di questa tecnica è quello di non permettere l’esecuzione di biopsie, e a oggi l’indicazione principale rimane lo studio del piccolo intestino (o intestino tenue) nel sospetto e stadiazione della Morbo di Crohn; la sua utilità nell’ambito della diagnosi del tumore del colon rimane marginale.